Ha corso per quasi cinquemila chilometri sullo stesso circuito urbano di New York, per quarantasei giorni consecutivi, e senza essere un atleta professionista. Andrea Marcato, originario di Lughetto, vicino Venezia, ha vinto per la sesta volta consecutiva la Self-Transcendence 3100 Mile Race, la corsa su strada più lunga del mondo. L’evento, ideato dal maestro spirituale Sri Chinmoy e organizzato dal suo marathon team, si svolge ogni anno nel quartiere del Queens su un tracciato di poco più di un chilometro da ripetere migliaia di volte. Marcato, che vive all’estero e si dedica da anni alla meditazione e all’endurance, è oggi l’unico atleta al mondo ad aver conquistato sei titoli di fila, trasformando la sua partecipazione in una pratica di disciplina e consapevolezza più che di competizione.
Andrea, sei riuscito a vincere per la sesta volta consecutiva la gara più lunga del pianeta. Cosa significa per te questa continuità di successo? È più una sfida fisica, mentale o spirituale?
Per me questa continuità di successo ha sicuramente un valore piu’ elevato del piazzamento esteriore. Sicuramente è una bella cosa figurare bene, anche se devo dire che ne sono abbastanza distaccato. Do molto più valore al senso di soddisfazione interiore che provo durante e alla fine della gara. Mi piace la sfida sul piano fisico, anche se penso che in una gara di questo tipo il fattore mentale sia predominante. Lo spirito è semplicemente l’unione tra corpo e mente, è quel sentimento armonico che ti fa attraversare i momenti difficili con serenita’ e confidenza.
Affrontare oltre 3.100 miglia a New York, correndo per settimane sullo stesso circuito urbano, richiede una disciplina fuori dal comune. Come si costruisce la forza mentale necessaria per affrontare una prova così estrema giorno dopo giorno?
“Gutta cavat lapidem”. Gli antichi latini dicevano che, giorno dopo giorno, la goccia scava la pietra.
La forza mentale necessaria per affrontare una prova così estrema l’ho costruita negli anni. Nel 2006 corsi la mia prima ultramaratona di 12 ore. Da quella gara in poi mi sono appassionato alle gare di endurance, cercando di aumentare la distanza progressivamente. Dodici anni dopo, nel 2018 ho corso il mio primo multi-days event, una gara di 10 giorni tenutasi proprio a New York, nel Flushing Meadows Park. La disciplina per andare avanti la trovo nella pratica meditativa. Da anni cerco di svegliarmi presto e di calmare la mente prima di iniziare la giornata. Vado in profondità e cerco di ascoltare me stesso. Voglio fare chiarezza su ciò che voglio veramente. Cerco di essere il piu’organizzato possibile. Più mi è chiaro cosa fare e più dedizione posso mettere in quella direzione, limitando le distrazioni e gli impedimenti quotidiani.
Ogni anno il tuo tempo migliora o si mantiene. Come è cambiato il tuo approccio alla preparazione fisica e mentale rispetto alla tua prima partecipazione?
Non è proprio così… A dire il vero questa mia sesta edizione è stata la più lenta e problematica.
Nella seconda edizione ho fatto il mio PB in 42 giorni, mentre quest’anno ho chiuso la gara in 46 giorni. Sicuramente dalla prima partecipazione sono cambiate molte cose. Dopo il primo anno mi ci sono voluti più di 6 mesi per recuperare, è stato uno shock per il mio corpo. Dopo la seconda e terza edizione notavo che recuperavo più in fretta e già dopo 2 mesi cominciavo a gareggiare su altri eventi. La preparazione fisica è variata notevolmente. Nel corso degli anni ho aumentato notevolmente le gare disputate in un singolo anno e diminuito drasticamente gli allenamenti settimanali. Ho anche inserito lunghe sessioni di nuoto, qualche allenamento di crossfit in palestra e sessioni di stretching dinamico. Diciamo che, gare a parte, cerco di trovare metodi di allenamento alternativi che mantengano la forma fisica, senza impattare sulle articolazioni piu’ del necessario.
La preparazione mentale è sicuramente un fattore in continua evoluzione. C’è ancora molto da lavorare…
La “Self-Transcendence Race” nasce da una visione spirituale: superare i propri limiti interiori più che competere con gli altri. Quanto pesa per te questa dimensione interiore rispetto alla pura performance atletica?
La “Self-Transcendence Race” è nata da una visione spirituale di Sri Chinmoy, che inaugurò la prima edizione nel 1997. La sua filosofia accorpava la pratica meditativa con il dinamismo dello sport. Il mondo interiore e quello esteriore non sono necessariamente in contrapposizione, al contrario si integrano l’uno con l’altro. Ovviamente questa gara è un test dei limiti fisici e mentali delle capacità umane ed è considerata “il Monte Everest delle Ultradistanze”.
Come ho già detto prima, cerco di essere distaccato dal risultato esteriore. Personalmente la dimensione interiore ha infinitamente piu’ importanza rispetto alla pura performance atletica.
Ciò non significa tuttavia, che non cerco di dare il meglio di me. Questa edizione del 2025 è stata la mia gara piu’ lenta, ma anche quella che mi ha dato piu’ soddisfazioni. Quando le cose vanno sempre bene, è facile sorridere ed essere contenti. È quando affronti delle difficoltà inaspettate invece… è lì che si forma il carattere, è lì che mostri ciò di cui sei veramente capace, è lì che devi trascendere te stesso.
Molti atleti utilizzano vari mental tools prima di approcciare una gara importante. Un mantra ripetitivo, una tradizione ripetuta, un gesto scaramantico. Utilizzi metodi di questo tipo?
Non necessariamente. Cerco solo di distrarre la mente e metterla in un cassetto. Provo per così dire, a “buttare il cuore oltre l’ostacolo”. L’unica tradizione che ho ripetuto nel corso delle varie edizioni è la mia visita al Consolato Generale d’Italia di New York, dopo la gara. Ho instaurato un rapporto d’amicizia con il Console Di Michele e il suo staff. Mi hanno sempre accolto con calore e generosità. Sono persone molto speciali, all’altezza delle loro cariche istituzionali.
Dopo sei vittorie consecutive, cosa ti spinge ancora a tornare a New York? È il desiderio di migliorarti, il legame con la comunità della corsa o qualcosa di più profondo?
La domanda include la mia risposta. Dopo sei edizioni consecutive, ciò che mi spinge a tornare a New York è proprio un blending di ciò che hai appena citato. Sicuramente cerco di migliorarmi sul piano esteriore, questo è innegabile. Poi c’è la ricerca interiore. Io vedo la corsa di lunga distanza come un’opportunità per andare nel profondo di me stesso. Voglio cercare di capire i miei meccanismi interiori e spero di evolvermi in una persona sempre migliore, al di là delle circostanze esteriori. Poi c’è anche il senso di familiarità e di amicizia che ho instaurato negli anni con la comunità della corsa, che non riuscirò mai a ringraziare abbastanza per il supporto e lo spirito di servizio che mi è stato mostrato in ogni edizione.
L’articolo In pochi hanno corso così tanto come Andrea Marcato proviene da IlNewyorkese.






