Pianista, songwriter e pioniera del jazz: Irene Higginbotham fu una delle prime donne afroamericane a conquistare la scena musicale di New York negli anni ’40, scrivendo brani interpretati da leggende come Billie Holiday e Nat King Cole. In questa intervista esclusiva, Claudia Aliotta, cantante, pianista, compositrice, nonché insegnante, speaker radiofonica e giornalista, ci guida alla riscoperta di una figura colta, innovativa e troppo a lungo rimasta nell’ombra del jazz mondiale.
Claudia, quando e da dove nasce il tuo interesse verso Irene Higginbotham, a tal punto che ne hai fatto oggetto di una tua tesi di laurea?
Nell’ambito del mio corso di Laurea in Canto Jazz al Conservatorio di Perugia mi capitò di studiare “This will make you laugh”, uno dei primi successi di Nat King Cole. Mi colpì il fatto che sia il testo che la musica provenissero dalla stessa persona, cosa non molto frequente. L’autrice era appunto Irene Higginbotham, che attirò il mio interesse, perché si distingueva, dalle altre songwriter da me conosciute, per la varietà di generi musicali in cui si era cimentata. Iniziai una intensa e appassionata ricerca su di lei e infine la scelsi come soggetto della mia tesi di laurea dal titolo “La versatilità musicale della compositrice Irene Higginbotham”. Tesi nella quale oltre a ricostruire la sua carriera musicale, ho potuto compilare, grazie alle ampie ricerche condotte, il catalogo delle sue composizioni e delle relative incisioni discografiche. Qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima.
Puoi tracciare un profilo di quest’artista, per farla conoscere meglio o presentarla ai lettori de ilNewyorkese?
Irene Higginbotham, nacque a Worchester, nel Massachusetts, l’11 giugno 1918. Orfana di madre prima dei due anni crebbe ad Atlanta con il padre, insegnante, giornalista e suonatore di trombone e con la matrigna Carrie, che le insegnò il pianoforte già dall’età di 5 anni. A 13 anni scrisse la prima canzone e a 15 anni iniziò a esibirsi come pianista. A 20 anni si trasferì a New York, dove suo zio Jack Clayton Higginbotham, fratello minore di suo padre, nonché uno dei più grandi trombettisti jazz di quegli anni, la introdurrà nel mondo musicale newyorkese. Il debutto a New York nel mondo della musica avvenne con “Harlem Stomp”, scritto insieme allo zio Jack Clayton, che militava nella big band di Louis Armstrong. Il trombettista fece suo quel brano musicale, lo eseguì, per la prima volta al Cotton Club nel 1939, durante un concerto trasmesso via radio, e lo incise qualche mese dopo. Lo stesso Armstrong siglerà con Irene e lo zio Jack, nel marzo del 1940, due brani, “Old Man Jeep” e “My Heart Is At Your Command”, che, però, non saranno mai incisi. Nel 1941 il direttore d’orchestra Benny Goodman scelse la canzone di Irene dal titolo “That did it Marie” per il debutto di una giovanissima cantante, Peggy Lee, che sarebbe diventata da lì a poco una stella del firmamento musicale. Nello stesso 1941, Nat King Cole incise con successo “This will Make you Laugh” e il mitico Cab Calloway interpretò “Mrs. Finningan”, due brani sempre della Higginbotham. Questi furono i suoi inizi, ma prendendo in esame la sua produzione, ciò che colpisce è la varietà di generi e di forme musicali delle sue composizioni . Il musicologo Eugene Chadbourne, che attribuisce un’alta qualità ai suoi lavori, parla delle sue ballad come di “raro esempio di jazz combinato con la soap opera”. Alcune ballad, secondo il parere di Chadbourne, sono «capolavori, racconti tormentati dei cuori che, sebbene spezzati, possono ancora battere». Ma nel repertorio della Higginbotham non ci sono solo canzoni di amori perduti. Sempre Chadbourne la ritiene una pioniera del “Doo Wop”, un genere vocale polifonico di gruppo, popolare negli anni Cinquanta, ma Irene pubblicò anche jive e rhythm and blues. In qualsiasi genere si sia cimentata la Higginbotham ha sempre prodotto canzoni di buon livello, alcune particolarmente pregevoli, sia sotto il profilo armonico che melodico, facendosi notare, inoltre, per la qualità dei testi, a volte poetici, ma spesso anche divertenti ed ironici.
Irene Higginbotham – Foto pubblicitaria per la canzone That did it Marie
Quale ruolo ha ricoperto nell’ambiente musicale di New York e quali influenze ha prodotto?
Lo storiografo del jazz Ted Gioia parla della Higginbotham come di un “tesoro nascosto” e la include fra le «cinque donne che hanno aiutato a modellare il sound del jazz con le loro canzoni» insieme a Lil Hardin Armstrong, Billie Holiday, Ann Ronnel e la paroliera Dorothy Fields. In un’epoca in cui le musiciste donne dovevano faticare per emergere in un contesto musicale dominato dagli uomini, la Higginbotham riuscì a ritagliarsi un suo spazio ed acquisire una certa visibilità a New York. Lavorò, infatti, stabilmente come songwriter per oltre 10 anni per Joe Davis, discografico noto anche per aver lanciato il pianista e cantante Fats Waller, oltre che per le sue collaborazioni con Andy Razaf, uno dei più grandi parolieri dell’epoca.
Irene Higginbotham, diventerà l’autrice di punta della Beacon Records, la casa discografica che Davis aprì nel 1942, debuttando con “Indiana Blues”, un brano che Davis aveva scritto proprio insieme a lei. Nel nome della songwriter si aprì una nuova stagione per Davis, che portò al successo diversi suoi brani. Irene ha, quindi, la soddisfazione di veder crescere la sua popolarità e ben presto le sue canzoni saranno interpretate non solo da giovani emergenti, ma anche da artiste già note. Gli anni Quaranta furono un decennio di intensa attività per la compositrice e altri nomi di spicco del jazz iniziarono a interessarsi alle sue composizioni. Nomi come il pianista Jimmy Jones e la cantante Billie Holiday. Quest’ultima, in particolare, decise di registrare due brani della Higginbotham: “Good Morning Heartache”, abbinato sul lato B del disco a No Good Man. “Good Morning Heartache” è sicuramente la composizione più famosa della Higginbotham e conta un centinaio di versioni. La songwriter, chiuso il decennio di successi degli anni Quaranta, si ritirò dall’industria discografica nel 1953 e cadde nell’oblio per un ventennio, sino a quando lo straordinario successo del film “Lady Sings the Blues” del 1972, sulla vita della cantante Holiday, non riportò all’attenzione del grande pubblico quella sua canzone, che nella versione di Diana Ross raggiunse l’ottavo posto nella classifica di «Billboard». Gli anni Cinquanta videro l’arrivo di altre cantanti nella scuderia del discografico Davis e, come di consueto, parte del loro repertorio proveniva dalla penna della Higginbotham. Vennero incisi anche altri suoi brani strumentali, ma dopo il 1953, anno del suo matrimonio con Moetahar Padellan, le notizie sulla compositrice cominciarono a diminuire. Abbandonate le scene, Irene lavorò come stenografa in un ufficio governativo, ma visse abbastanza per assistere al successo internazionale della sua “Good Morning Heartache”.
Per preparare la tua tesi hai consultato e avuto accesso a un gran numero di testi e documenti. A cosa hanno portato le tue ricerche su di lei?
La mia ricerca si è basata su notizie reperibili nella letteratura specializzata, come il libro di Bruce Bastin “The Melody Man: Joe Davis and the New York Music Scene, 1916-1978”. Sul web ho consultato gli scritti di studiosi conosciuti, come Chet Williamson, noto per le sue ricerche sui musicisti di Worchester, riviste, come Billboard, libri, cataloghi di copyright e di altro genere. Attraverso un lavoro certosino di studio e di ricerca sono emerse diverse notizie errate su di lei in merito alla paternità di alcuni brani (per diverso tempo è stata confusa infatti con un’altra songwriter afroamericana di nome Irene Kitchings), ma ancor di più sono risalita a un numero di composizioni di gran lunga superiore rispetto a quelle ufficialmente attribuite, grazie alla consultazione dei cataloghi di copyright. Le poche fonti biografiche nominavano una cinquantina di canzoni o brani strumentali, mentre il catalogo che io sono riuscita a stilare si aggira attualmente intorno alle 120 composizioni. Ho rintracciato e acquisito diversi spartiti originali presso l’Università della Georgia ed ho scoperto che altri si trovavano presso la New York Public Library e altre biblioteche americane, alcuni persino a Londra. È stato entusiasmante scoprire l’esistenza di numerose canzoni inedite come “I’ve got to change my ways” scritta con Nat King Cole o “Sweet Talk” il cui testo è di Andy Razaf. Che Irene Higginbotham non sia passata inosservata negli anni Quaranta lo dimostra il suo inserimento nel Who’s who in America del 1948, una pubblicazione specializzata in biografie di personaggi importanti. Il prematuro ritiro dalle scene, l’uso di diversi pseudonimi, la confusione generata dallo scambio di identità, hanno fatto sì che, nel tempo, purtroppo, si perdesse la memoria di questa pregevole compositrice.
Stralci degli spartiti manoscritti delle due composizioni a firma di Louis Amstrong e Irene Higginbotham
Hai fatto, addirittura, un viaggio a New York per ritrovare, in qualche modo, le sue tracce, anche attraverso il contatto con i suoi parenti. Cosa ci puoi dire di quel soggiorno e di quegli incontri?
Con New York è stato amore a prima vista, mi manca moltissimo. Il mio soggiorno è stato elettrizzante e ricco di soddisfazioni. Ho visto da vicino il mitico Brill Building, l’edificio dove si trovavano gli uffici di tantissime case discografiche, compresa quella di Joe Davis. Ho potuto sfiorare uno dei luoghi dove Irene si recava abitualmente a lavoro. Sono stata alla meravigliosa New York Public Library a recuperare alcuni spartiti (ce ne sono 17 di Irene Higginbotham) e anche allo Schomburg Center for Research in Black Culture, dove ho acquisito una serie di rare fotografie che riguardano sia Irene che suo zio Jay C.. Altra grandissima soddisfazione è stata quella di riuscire, con il permesso della Louis Armstrong Educational Foundation di New York, a vedere da vicino e fotografare i manoscritti delle due canzoni scritte da Irene con Louis Armstrong, conservati presso la Library of Congress di Washington. Fra gli eventi più emozionanti, vissuti nella Grande Mela, sono da includere sicuramente gli incontri con i cugini di Irene: il trombonista Joe Orange con sua sorella Rosemary e Wendy Higginbotham. Joe, presso il quale sono stata ospite nella sua residenza nel Maryland, mi ha fornito diverse importanti informazioni sulla vita di Irene. Rosemary, poi, mi ha fatto una rivelazione sensazionale. Le avevo chiesto come mai ci fosse una foto di Irene con Marlon Brando e lei mi ha raccontatoche, negli anni in cui Irene abitava con lei a New York, Brando, anche lui, era stato ospite, verso la metà degli anni quaranta, per diverso tempo, nel suo appartamento.
Il tuo impegno nella divulgazione, in Italia, del patrimonio musicale di Irene Higginbotham va avanti, ormai, da anni. Quali sono stati gli eventi più significativi messi in essere a tal proposito e che progetti hai per il futuro?
Subito dopo la Laurea con la tesi su di lei nel 2014, le ho dedicato, presso il teatro Onaosi di Perugia, un primo concerto monografico, trasmesso per radio e seguito anche dai suoi parenti negli Stati Uniti. Successivamente ho ripreso con passione le mie ricerche su di lei, scoprendo altri inediti e acquistando dischi originali degli anni Quaranta. In occasione del centenario dalla nascita ho potuto, grazie anche alle foto ricevute dal cugino Joe Orange e dal nipote, il batterista Marc Freeman, allestire la prima mostra su di lei in cui esponevo spartiti, dischi, foto e giornali degli anni Quaranta e raccontavo la sua storia. Questo evento, realizzato con il supporto del centro culturale Music Farm di Perugia del batterista Juri Pecci e della cantante Maria Fiorelli, è stato abbinato ad un concerto in cui ho eseguito brani inediti o mai incisi. Ho tenuto altre mostre e concerti su di lei a Città della Pieve, Tolentino, Assisi e Spoleto, ma è stato al Castello della Rancia di Tolentino nelle Marche, che, per la prima volta, sono stati esposti i manoscritti delle canzoni firmate da lei e Louis Armstrong. Canzoni eseguite, poi, da me in concerto, in prima mondiale assoluta, accompagnata dal pianista Manuel Magrini, durante il Festival Tolentino Jazz. Attualmente il mio impegno per la Higginbotham è concentrato, prevalentemente, nella stesura del mio libro su di lei, da pubblicare, se tutto va bene, entro giugno 2026.
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