Massimiliano Finazzer: un docufilm per raccontare il Trieste, tra memoria e scienza

Massimiliano Finazzer Flory è in tour in USA con le proiezioni del docufilm da lui diretto “Il Mecenate”, prodotto dalla Fondazione Augusto Rancilio. Le proiezioni avverrano a Miami, il 3 novembre ore 19 presso l’Istituto Italiano di Cultura, e a Washington, il 5 novembre ore 18.30 presso l’Ambasciata Italiana in collaborazione con la Farnesina. In questa intervista, Finazzer ci anticipa la sua prossima opera cinematografica “Operazione Batiscafo Trieste”, dove racconta l’impresa del Batiscafo Trieste e della quale completerà le sue riprese proprio a Washington in questi giorni.

Cosa l’ha spinta a raccontare la storia del Batiscafo Trieste oggi, più di sessant’anni dopo l’impresa?

Il bisogno di verità, di dare voce ai pionieri, di dedicare giustizia ad un’impresa ancora da vivere e vedere. Perché di imprese ce ne sono due. Quella del 23 giugno 1960 quando si toccano i 10.916 metri sul fondo del mare dell’oceano e il 29 settembre del 2026 quando a Trieste appare trionfalmente la ricostruzione perfetta e poetica di quel batiscafo.

Qual è stato l’aspetto più complesso da ricostruire — dal punto di vista tecnico o narrativo — di un mezzo come il Trieste?

La dimensione umana. Avere le testimonianze di chi c’era. Restituire epica ed emozioni con chi occhi di chi ha vissuto il primato. Da qui avere nel film i figli dei due piloti del 1960 ovvero Piccard e Walsh offre a questo docu una potenza internazionale e un omaggio alla voglia di esplorare irriducibile all’uomo, quasi una vocazione. Come dire c’è il Batiscafo e c’è tuttora ma sono le idee e gli uomini che fanno dell’inverosimile il possibile.

Bertrand Piccard partecipa al progetto: che tipo di confronto si è creato con lui e quanto la memoria familiare ha influenzato la narrazione?

Commovente immergersi dai padri ai figli. Sembra che il tempo non sia passato che gli spiriti di questa storia siano lì a parlarmi chiedendo di fare di più sul pianeta, di scendere anche noi sotto la superficie della realtà e tornare a una scienza che ricerchi la pace, non la guerra. Bertrand Piccard è il testimonial di un “si può fare e subito, meglio per il mondo”.

Nel film emerge anche una riflessione ambientale. Crede che la storia del Trieste possa oggi parlare di sostenibilità e tutela del mare con la stessa forza di allora?

Di più. Io ho girato il film tra le acque di Trieste, Monfalcone, Castellammare di Stabia, Capri e Ponza fino a quelle fluviali di Washington. Il mare è lo stesso, noi pure. La sfida ambientale, non è ideologica. La natura è ancora nostra maestra di vita che, come suggerisce Leonardo da Vinci, attende la nostra arte che si faccia esperienza. Questo docufilm italiano sull’underwater grazie ad Armundia nostro partner è una piattaforma verde dove far incontrare etica ed emozioni e comunicare che la tecnologia, di cui si serva anche e da sempre il cinema e quindi la cultura è al servizio dei nostri sogni, intendo quelli ad occhi aperti.

Lei ha spesso lavorato su figure che mettono in dialogo arte e scienza – come ad esempio quella di Galeazzo Arconati, protagonista del suo “Il Mecenate”. Il Trieste è anche un simbolo di questo incontro?

Si. Dei cercatori della bellezza. Io penso simbolicamente, dunque, sono incompleto per natura. Da qui vogliamo proporre narrazioni viventi non semplici racconti del passato. E la mitologia è energia eterna e alternativa la cui finzione è più vera di altre verità ufficiali. Non è questo il cinema come arte? Devo ringraziare la Fondazione Augusto Rancilio per avermi sostenuto a dare voce e volto esattamente a questo incontro sui “miti” per fare di queste biografie punti di partenza di una nuova e diversa diplomazia culturale per tenere anche insieme Italia e Stati Uniti sui valori dell’arte e della tecnica.

Nel film si percepisce un legame con la memoria storica della città di Trieste. Che rapporto ha voluto costruire tra la città e la sua eredità scientifica?

Senza la visione folle e felice di Giorgio Rossi, non solo assessore del Comune di Trieste ma grande uomo di impresa, non saremmo qui a ricordare che ogni cosa ha la sua casa. Ogni arrivo ha la sua partenza. Il Batiscafo Trieste si chiama così perché gli inventori i Piccard ebbero dal triestino Diego de Henriquez e da questo territorio la libertà di ricerca e realizzazione… Questo film è il riconoscimento di un give back atteso da più di 60 anni.

Se dovesse sintetizzare il messaggio del Trieste per le nuove generazioni, quale sarebbe?

Che siamo fatti di acqua, che in essa si cela il segreto della vita… che solo scendendo sotto la superficie del mare si trova la profondità dell’uomo e del suo mistero. In altri termini scienza e spiritualità possono produrre qualcosa di più potente della loro somma. In ogni goccia di acqua c’è già tutto il mare e quest’ultimo, come ci ha insegnato Jules Verne, è l’infinito vivente.

L’articolo Massimiliano Finazzer: un docufilm per raccontare il Trieste, tra memoria e scienza proviene da IlNewyorkese.

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